A CHE MANIFESTAZIONE STIAMO GIOCANDO

Prima di ragionare sulla manifestazione del 7 su Gaza, occorre fare un paio de premesse: la prima è che le manifestazioni ormai non servono praticamente più a niente: non solo in Italia, ma anche all’estero. Se così non fosse un anno di manifestazioni per Gaza, in tutti i paesi dell’occidente, avrebbero avuto una qualche ripercussione concreta sulle politiche dei vari governi. E invece zero.

La seconda è che se anche la manifestazione in Italia avesse successo, le conseguenze sarebbero più o meno nulle, per il semplice fatto che la politica estera italiana non esiste. E questo non riguarda solo il governo in carica: la politica estera italiana si limita a diverse gradazioni di starnazzo prima di adeguarsi alla linea dettata altrove, potete controllare tranquillamente la diversità tra comportamento all’opposizione e quello in maggioranza nel corso del tempo dei singoli partiti. Quelli che oggi dicono che su Gaza farebbero diversamente ma, ahimè, non sono maggioranza, in Europa sono maggioranza. E viceversa, con pochissime eccezioni, per lo più personali e che per lo più vengono silenziate o amplificate ad arte per alimentare l’idea di una pluralità politica che semplicemente non esiste nei fatti: la politica estera italiana semplicemente non c’è.

Tenuto conto di questo, la prima considerazione è che tutto il pandemonio intorno alla manifestazione su Gaza ha a che fare con Gaza solo incidentalmente, è un qualcosa che riguarda soprattutto la gestione dell’opinione pubblica. Perché l’opinione pubblica comunque esiste, uno se ne può anche fregare ma tutto quel teatrino politico non può far semplicemente finta che non esista. Il gioco democratico funziona fino a quando esiste, se non altro, almeno l’illusione di un rapporto tra opinione pubblica ed eletti.

Se osserviamo i movimenti della politica intorno a questi temi, notiamo che sono sempre gli stessi, indipendentemente dal tema: referendum, Gaza, riarmo, tutti in funzione di un posizionamento politico interno. Con due ruoli leggermente diversi: quello di chi quel sentimento dell’opinione pubblica l’ha colto (e lo cavalca, più o meno sinceramente o cinicamente), e chi quel sentimento punta a farlo scomparire, a delegittimarlo, perché non funzionale al proprio interesse elettorale spicciolo.

Ora, io ho pochissima fiducia che chi oggi quel sentimento lo difende domani, a sorti elettorali mutate, lo onorerà; ma proprio zero fiducia. Eppure credo che sia importante che quel sentimento continui ad avere spazio (che continui a crescere e non si perda).

Dall’altra parte, non potendolo più ignorare, chi non ha interesse a difendere questo sentimento punta all’esatto opposto. Lo abbiamo visto in un anno e mezzo di attacchi indiscriminati a qualsiasi voce critica (QUALSIASI, dal manifestante sui social all’ONU). Poi è successa una cosa, piccola, ma secondo me significativa del clima: le bandiere della Palestina al Giro d’Italia.

Viviamo ormai in un clima repressivo dei cui confini forse non abbiamo più neanche una percezione precisa, ma abbiamo passato mesi di intimidazioni, accuse e denigrazioni gratuite, identificazioni da parte della polizia anche per l’esposizione di semplici manifesti antifascisti o di una bandiera. Eppure quelle bandiere al giro continuano a comparire. In un’azione spontanea, non organizzata, ma non più arginabile. È un segnale, piccolo, che l’opinione pubblica non sta rispondendo alla sedazione come sperato. Il paziente è ancora sveglio. O forse non è del tutto sveglio, ma neanche completamente addormentato.

Secondo me ha senso discutere della manifestazione per Gaza soltanto all’interno della cornice di cui sopra: e in questa cornice la manifestazione, in qualunque sua forma, non avrà nessun effetto concreto sulle azioni del governo rispetto a Israele. Quindi, ai fini di ciò, qualsiasi forma dovesse assumere è semplicemente irrilevante. Non sposterà una virgola.
La forma della manifestazione ha però un altro effetto secondario, ovvero determinerà se quella piazza sarà uno spazio di sostegno o di sedazione dell’opinione pubblica.

Di una manifestazione nazionale per Gaza sostenuta dalla politica in realtà (lontano dalla ribalta dei riflettori) se ne parla da un po’. Una delle date proposte è la marcia nazionale da Marzabotto a Monte Sole prevista per il 15 giugno (organizzata da ANPI e Cgil), dedicata a Gaza e riconfermata in queste ore dalla sindaca di Marzabotto Valentina Cuppi.
L’altra data è quella della manifestazione nazionale contro il riarmo del 21 giugno, portata avanti da Arci, Sbilanciamoci, Rete Italiana Pace e Disarmo, Fondazione Perugia Assisi e altre associazioni, anch’essa con parole d’ordine chiarissime: no guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo.
L’ultima data che segnalo è un’altra campagna per Gaza, quella dei 50.000 sudari, più o meno ignorata dai media (quando non direttamente schernita). La segnalo perché si è svolta il 24 maggio. Il primo lancio della manifestazione è avvenuto, sicuramente casualmente, la mattina del 25, a campagna conclusa.
Questo per dire che la politica avrebbe l’imbarazzo della scelta su quale manifestazione sostenere, e forse non ci sarebbe neanche il “bisogno” di lanciare un’altra manifestazione nazionale: basterebbe limitarsi con convinzione a promuovere le iniziative che ci sono già.

Eppure l’idea prende forma magicamente e rapidissimamente: il 25 mattina, durante il festival della TV di Dogliani, in un confronto tra Orfeo e Mentana, il primo lancia l’idea di una grande manifestazione nazionale su Gaza “come quella promossa da Michele Serra”. La stessa sera AVS propone pubblicamente a Schlein e Conte l’idea di una manifestazione nazionale, subito raccolta. La mattina successiva Repubblica titola “Mobilitazione per Gaza”. Il giorno dopo Nanni Moretti fa un post su instagram contro Netanyahu. (a margine, più o meno nelle stesse ore, la direzione di Repubblica faceva pesanti pressioni sul comitato di Redazione proprio a proposito di Gaza, provando a riaprire una mozione già votata, a scrutinio più o meno completato, costringendo di fatto alle dimissioni dal CdR Matteo Pucciarelli).

E qui facciamo una pausa: io non so se quella di Fratoianni e Bonelli sia una fuga in avanti per sottrarre l’iniziativa al PD e blindarla sui contenuti della mozione appena bocciata in Parlamento, o se quest’uscita contemporanea sia stata invece scientemente concordata (credo che basterà aspettare e giudicare dagli sviluppi).
Però mi sembra che finora, almeno il disegno di Repubblica sia abbastanza chiaro: una manifestazione copia di quella sul riarmo, necessario a diluire le voci critiche con un grande ammasso indistinto, confuso e autocontraddittorio, di cui domani si potrà dire (perché poi i giornali non li scrivo io, ma sempre loro) che in quella grande manifestazione c’erano tante voci a supporto di Israele e che quindi alla fine, quella manifestazione non significa niente di preciso e non è vero che è una manifestazione contro il genocidio.

Riprendiamo: Dal giorno dopo, infatti, partono subito le richieste di “allargamento della piattaforma”. La prima in ordine di tempo è Edith Brucke che chiede di portare in piazza la bandiera israeliana (lo segnalo perché io non credo ai complotti, ma credo poco pure alle casualità). Subito la proposta viene rilanciata da Sinistra per Israele (accompagnata da Italia Viva e Azione) che chiedono di inserire altri punti oltre alla bandiera israeliana: le coccarde gialle, i patti di Abramo, i due popoli due stati, il supporto attivo agli oppositori politici di Netanyahu, e chi più ne ha più ne metta.

Il tentativo è chiaro: annacquare la manifestazione fino a farla diventare un qualcosa a cui potrebbe partecipare perfino Crosetto (oggi sul Foglio) o, in subordine, depotenziarla e gettare i semi per la solita accusa di antisemitismo per chiunque non sia disposto a giustificare acriticamente ogni azioni di Israele. Se i partiti di “opposizione” non integralmente allineati a questa visione siano soltanto attori di un gioco delle parti, o stiano autenticamente provando a difendere una piattaforma di decenza minima io non lo so, ma credo che lo scopriremo presto.

Per concludere: non credo che questa manifestazione avrà una qualche rilevanza sulla questione palestinese e per quello forse è meglio dedicare energie alle iniziative del 15 e del 21 giugno. Questa manifestazione rappresenta comunque una sfida, ovvero quello di provare a difendere uno spazio di espressione dell’opinione pubblica senza farlo diventare, al contrario, l’ennesimo strumento di disinnesco della stessa. Uno spazio in cui si rivendica il diritto quanto meno ad essere ascoltati dalla politica, invece che addomesticati.
L’altra cosa che non so è se, in questo momento, ci sono le forze per difenderlo, quello spazio. Non c’erano secondo me per farlo con la “manifestazione di Serra”; ma quest’ondata di repentini riposizionamenti tattici su Gaza offre sicuramente meno spazi di manovra: forse vale la pena sfidarli alla coerenza, questi improvvisi cambi di fronte, e fare il tentativo di difendere quella piattaforma su un presupposto minimo di decenza (mantenendo il focus sullo sterminio in corso, sull’urgenza di un cessate il fuoco e chiedendo al governo di adottare misure concreto in tal senso) che rispetti almeno il titolo che la manifestazione si è data: basta complicità.
Anche con il rischio di perderla, questa sfida, ed eventualmente farsi da parte, ma se non altro facendolo con un minimo di consapevolezza del gioco a cui stiamo giocando.

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