SDS#118 – TE PIACE ‘O PRESENTE

E se quest’anno non t’è piaciuto, pensa che tutto sommato è quasi finito e che l’anno prossimo potrebbe esse pure peggio. C’è una piccola deriva verso l’apocalisse ma tutto sommato niente de cui te devi preoccupà. Dice che è un Natale pieno de orgojo, dovemo esse orgojosi ma non se capisce de che, dovemo da difende i valori dell’occidente ma sti valori non se capisce più che so’ visto che l’unico valore che difendemo è che l’amici nostri possono fa’ er cazzo che je pare. Comunque, se proprio ‘sto presente non te piace, c’è una soluzione semplice: fa finta che non sta a succede gnente. Ormai sta a nasce un nuovo movimento de opinione, po’ esse pure che un domani te lo ritrovi candidato in quarche dove: è il centro negazionista moderato. ‘Na vorta er complottismo era patrimonio della marginalità, de gente che faceva fatica ad affrontà la realtà e pur de da’ un senso alla vita disgraziata che j’era capitata preferiva inventasse un complotto, uno qualunque con il quale se poteva assolve, o quantomeno consolà. Der centro negazionista moderato invece fanno parte sospettabili giornalisti e avvocati, prof universitari e veterinari, cuochi, parrucchieri, ex parlamentari, pupazzi politici e un esercito di troll che farebbe invidia ar MinCulPop, uniti dall’autodefinizione di libberali.Passano le giornate (secondo il grado di liberalità) a cercare nelle profondità del web il fake che gli permetta d’urlare soddisfatti, vedete? Dicevano 20k morti ma questo è un bambolotto quindi sono soltanto 19.999! E spesso quello che trovano come prova, purtroppo, non è neanche una bambola, ma un bambino in carne e ossa su cui sciacallano la propria propaganda.Fieri d’aver scoperto la locuzione “di Hamas” la ripetono ossessivi ad ogni obiezione: se bombardano un palazzo è un palazzo di Hamas, se muore un giornalista è un giornalista di Hamas, se muore anche la sua famiglia è una famiglia di Hamas di un giornalista di Hamas. Amnesty è di Hamas, MSF è di Hamas, la Croce Rossa è di Hamas, pure l’ONU è di Hamas! L’ambulanza è di Hamas e ha fatto finta di essere stata bombardata; e anche quando a confermarlo è la stessa IDF loro dubitano perché perfino i dati sulle vittime dell’IDF per loro sono i dati dell’IDF di Hamas. E se glielo fai notare, anche tu sei di Hamas. A volte per non affrontare il fatto in sé l’estremista di centro si accanisce sulla fonte (chiaramente fonte di Hamas) mentre ritwitta impassibile gli affidabilissimi GiggiNAFO e Marcella58 (in cui 58 probabilmente indica il QI). Gli dà ragione, quindi è di per se affidabile. I più timidi, tra un retweet e l’altro, s’accontentano di fare lo screening dell’organizzazione interna dei bombardati per stabilire se siano abbastanza degni di non essere massacrati in nome dei nostri valori; test da cui immancabilmente deducono che no, non sono degni. Per gli altri il test non è necessario: non ci assomigliano, è autoevidente che non hanno diritto a sedersi alla nostra tavola. Al più, se si sottomettono pacificamente, avranno diritto ad elemosinare qualche briciola, purché la implorino educatamente.  Innamorati di Milei e della GBD, fanboy della Digos e delle manganellate della polizia contro gli studenti, mal celando l’orgasmo di fronte alla sofferenza dei poveri, difenderanno fino alla morte il tuo diritto di esprimere le tue idee, a patto che coincidano con le loro. Ma guai a dubitare della loro moderazione: hanno i valori democratici a garantirla. La realtà non serve quando hai i valori dalla tua. Hai lo spirito natalizio, la democrazia, il diritto, che vuoi che sia un massacro in più o in meno? Domani ci sarà tempo per il mea culpa. E tu non ce l’hai st’inclinazione natalizia all’eccidio? Non te piace ‘o presente? E voltati dall’altra parte pure tu! E se ancora non riesci a vedere in un bambino di otto anni un baby-terrorista, il problema è tuo: è solo perché non sei abbastanza attaccato ai nostri valori.

SDS#116 – SEI BAMBINI ALL’ORA

E allora il 7 Ottobre? E allora l’8 Ottobre?E allora il 9 Ottobre?E allora il 10 Ottobre?E allora l’11 Ottobre?E allora il 12 Ottobre?E allora il 13 Ottobre?E allora il 14 Ottobre?E allora il 15 Ottobre?E allora il 16 Ottobre?E allora il 17 Ottobre?E allora il 18 Ottobre?E allora il 19 Ottobre?E allora il 20 Ottobre?E allora il 21 Ottobre?E allora il 22 Ottobre?E allora il 23 Ottobre?E allora il 24 Ottobre?E allora il 25 Ottobre?E allora il 26 Ottobre?E allora il 27 Ottobre?E allora il 28 Ottobre?E allora il 29 Ottobre?E allora il 30 Ottobre?E allora il 31 Ottobre?E allora il Primo Novembre?E allora il 2 Novembre?E allora il 3 Novembre?E allora il 4 Novembre?E allora il 5 Novembre?E allora il 6 Novembre?E allora il 7 Novembre?E allora l’8 Novembre?E allora il 9 Novembre?E allora il 10 Novembre?E allora l’11 Novembre?E allora il 12 Novembre?E allora il 13 Novembre?E allora il 14 Novembre?E allora il 15 Novembre?E allora il 16 Novembre?E allora il 17 Novembre?E allora il 18 Novembre?E allora il 19 Novembre?E allora il 20 Novembre?E allora il 21 Novembre?E allora il 22 Novembre?E allora il 23 Novembre?E allora il 24 Novembre?[respira][respira][respira][respira][respira][respira]E allora il Primo Dicembre?E allora il 2 Dicembre?E allora il 3 Dicembre?E allora il 4 Dicembre?E allora il 5 Dicembre?E allora il 6 Dicembre?E allora il 7 Dicembre?E allora l’8 Dicembre?E allora il 9 Dicembre?E allora il 10 Dicembre?E allora l’11 Dicembre?[to be continued]

L’uso politico dell’orrore

Oggi ho scritto questo post su X che ha fatto incazzare un sacco de gente: Israele impedisce agli ostaggi di parlare con la stampa. Cosa che Hamas e AP non fanno con i detenuti rilasciati. Ma occhio che una è una fulgida democrazia e l’altra na feroce dittatura. Naturalmente si è scatenata tutta una serie di risposte squilibrate a cui forse non varrebbe manco la pena di rispondere, ma a me piace rispondere, quindi lo faccio qui, una volta in comune per tutti.  Chiariamo due punti: il primo è che l’unica conferenza stampa pubblica rilasciata da un ostaggio è quella di Yocheved Lifshitz che, per usare un eufemismo, non è andata benissimo dal punto di vista della comunicazione e ha scatenato ondate di polemiche su tutti i media israeliani. Ora, naturalmente possono esserci varie spiegazioni sul perché tutti gli altri ostaggi abbiano smesso di rilasciare dichiarazioni in pubblico, ma la più probabile è che Israele abbia seguito lo stesso approccio dell’FBI, che ha proibito agli ostaggi americani liberati di rilasciare interviste.Anche sul perché abbia preso questa decisione possono esserci diversi spiegazioni: una possibilità è la paura che se venissero fuori i dettagli sulle torture di Hamas questo metterebbe in pericolo la vita degli altri ostaggi ancora in cattività (così mi hanno detto, sempre nelle risposte su X). Potrebbe essere un buon argomento, se non fosse che le poche informazioni fatte filtrare sono proprio sulle torture di Hamas. E qui veniamo al secondo punto, con il quale rispondo alla domanda, legittima, di un utente X (è incredibile, ma c’è ancora qualcuno con cui si riescono ad aver discussioni civili). “Non è che in questo modo cercano di nascondere il fatto che i bambini, gli anziani, le donne israeliane rapite sono stati trattati con umanità e rispetto e quelli uccisi lo sono stati dalle bombe israeliane? È questo che vuoi lasciar capire?” È una domanda provocatoria ma che merita una risposta e che mi porta al secondo punto: no, io non credo che “trattati bene” siano le parole più giuste per definire la condizione di cattività di un ostaggio, qualunque essa sia: essere stati portati via dalla propria casa senza sapere cosa ne è stato dei tuoi parenti e senza neanche sapere se il giorno dopo sarai ancora vivo, con le bombe che ti cascano in testa, senza neanche sapere se verranno a liberarti, se hanno accettato uno scambio, se hanno deciso di sacrificati, se chi ti tiene prigioniero il giorno dopo non ti userà come ultimatum o pungiball o inizierà a uccidere gli altri per rappresaglia. Credo che basti questo, a prescindere da tutto il resto, a renderla orribile. E neanche faccio fatica a credere che gli ostaggi possano aver subito torture fisiche e mentali, perché di questo ne abbiamo avuto già avuto prova il 7 Ottobre; e anche nell’unica conferenza stampa disponibile, quella di Yocheved Lifshitz, gli episodi di violenza subita vengono raccontati apertamente. E allora, che cosa spinge Israele a “moderare” le interviste, visto che è dal 7 Ottobre che siamo immersi in un continuo carosello di orrori?  Perché una “fulgida democrazia” ha bisogno di controllare l’opinione pubblica? Perché far filtrare solo i racconti più agghiaccianti, se l’obiettivo è tutelare gli ostaggi ancora in cattività?Perché il problema, secondo me, è proprio quello: perché, come nel caso della Lifshitz, potrebbe venir fuori qualche particolare che intralci il percorso di “mostrificazione” iniziato il 7 Ottobre. Potrebbe venir fuori addirittura che non tutti gli ostaggi sono stati torturati, che addirittura a qualcuno di loro non sono state inflitte ulteriori violenze gratuite oltre al trauma del rapimento, solo per il puro gusto sadico di infliggere violenza. Insomma potrebbe incrinarsi il racconto disumanizzante alimentato dalla retorica sui bambini decapitati, cotti nei forni, Dresda, le bombe atomiche, gli animali umani, i nazisti, i peggio dell’ISIS, le mosche da schiacciare, Gaza da bruciare, radere al suolo, rimpicciolire o riportare all’età della Pietra. Con le rivendicazioni pubbliche delle punizioni collettive, l’appello a non far entrare non un solo aiuto umanitario ma soltanto bombe, il programma di deportazione in Egitto o la diaspora dei profughi in giro per il mondo alla quale devono contribuire i volenterosi amici di Israele accogliendo qualche decina di migliaia di palestinesi a testa. Senza questo racconto disumanizzante non sarebbe possibile la sproporzionata reazione che abbiamo visto scatenarsi su Gaza con una violenza e un’intensità tale che ha pochi precedenti nella storia recente. Senza quello non è possibile stabile quel frame di superiorità morale secondo il quale se un palestinese parla di violenze subite SICURAMENTE sta mentendo e lo fa per mettere in cattiva luce Israele e SICURAMENTE è stato istruito da Hamas, mentre se una vittima israeliana racconta di torture SICURAMENTE non è stata istruita dall’IDF e non ha nessun interesse nel mettere in cattiva luce i palestinesi.Senza questa retorica, per dirla con Lapid, a raccontare le cose obiettivamente si fa un favore ad Hamas. E lui ha fatto il giornalista per una vita, forse possiamo credergli.Perché senza questa narrazione non sarebbe possibile stabilire quel gap di moralità sufficiente a giustificare qualsiasi massacro indiscriminato di civili, non ultimo un bambino di otto anni in Cisgiordania derubricato a terrorista da molti commentatori filodemocratici (sempre su X); a ignorare o legittimare qualunque atto di barbarie gratuita, purché nostra; cose  che non potrebbero essere giustificate in nessun altro modo se non postulando l’inferiorità culturale e valoriale e l’ingenita barbarie del nemico; in questa come in ogni altra guerra di civiltà, il nostro essere superiori diventa giustificazione della nostra violenza, non importa se siamo noi gli occupanti, non importa se siamo noi i colonizzatori, le nostre bombe sono moralmente superiori e quindi il prezzo di vite umane che reclamano è sempre e in ogni caso accettabile. Ma guai a riconoscere quello stesso diritto a quelli che opprimiamo: la loro protesta deve essere civile, pacifica, fatta con i fiori, limpida da ogni macchia morale, loro devono protestare all’interno delle modalità stabilite come legittime dall’occupato, e soprattutto non possono sperare di competere con la nostra violenza civile, perché la loro violenza è barbara, è moralmente inferiore, gratuita, indiscriminata … Leggi tutto

MORIRE DI TERRORE

Oggi vi racconterò una storia. Forse qualcuno di voi la conosce già, molti probabilmente no. È la storia della Grande Marcia del Ritorno. Come tutte le storie che ascolterete in questi giorni, è un pezzo della Storia tutta, e un pezzo da solo non può spiegare 70 anni di conflitto. Questa storia può però aiutare a rispondere a una domanda che molti in questi giorni ripetono ossessivamente: ma perché i palestinesi non scelgono le proteste pacifiche? Questa è la storia di quando i palestinesi scelsero di protestare pacificamente. È il 2018 e l’America di Trump si prepara a riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, nonostante la capitale riconosciuta a livello internazionale sia Tel Aviv e l’ONU abbia stabilito l’illegalità dell’occupazione di Gerusalemme Est e dei territori limitrofi (è il Tribunale Internazionale dell’Aja che la definisce “nazione occupante”, non io, ma questa è un’altra storia). A questo punto a Gaza la popolazione inizia una protesta, che prenderà il nome di Grande Marcia del Ritorno. Gaza è una striscia di terreno di una quarantina di chilometri, da più di quindici anni completamente isolata dal mondo, sempre a un passo dalla catastrofe umanitaria, circondata da una recinzione militarizzata e dalla quale non è possibile allontanarsi. Dentro questo campo di concentramento, probabilmente il più grande della storia contemporanea, vivono 2 milioni e trecentomila persone. Quasi la metà di questi sono minori, quasi il 70% della popolazione di Gaza ha i genitori che sono arrivati qua dopo essere stati costretti a fuggire dai territori conquistai e occupati da Israele. La manifestazione si chiama “grande marcia del ritorno” proprio per questo: è una protesta pacifica per affermare il diritto dei rifugiati a tornare nei territori che sono stati loro sottratti.Le proteste iniziano il 18 marzo del 2018 e proseguono fino a metà maggio (giorno del trasferimento dell’Ambasciata americana a Gerusalemme) e oltre, tutti i venerdì, una specie di Friday for Future in salsa palestinese in cui si chiede il rispetto del diritto dei profughi e la fine del blocco che sta strangolando Gaza. Sono proteste a cui partecipano circa 35mila persone. Alla fine delle proteste si conteranno più di 250 morti (tra cui una cinquantina di bambini). Tra le vittime ci sono anche tre medici e due giornalisti. I feriti sono così tanti che è difficile anche quantificarli: si va dai diecimila agli oltre trentamila, anche in questi casi migliaia di essi sono bambini sotto i quattordici anni. Tutti palestinesi. Alla fine delle proteste non si registrerà un solo israeliano ucciso o ferito gravemente (un solo soldato con escoriazioni lievi). E credo che questo, almeno in parte, possa contribuire a rispondere alla domanda iniziale. Quando a un manifestante pacifico rispondi con le fucilate, in sostanza stai dicendo a quel manifestante che il modo in cui protesta è irrilevante. In scala più grande lo ritroviamo anche con l’ANP, che in cambio dell’abbandono dei metodi violenti ha ricevuto in cambio esattamente niente, ormai ridotta a fare da polizia amministrativa del regime israeliano in un territorio sempre più frammentato dalla continua espansione a macchia di leopardo dei nuovi insediamenti dei coloni e in cui i palestinesi (e gli arabi in generale) vivono in regime di apartheid. O i numeri stessi dei morti e dei feriti degli ultimi anni che, anche al lordo degli attacchi terroristici, ci dicono come il “diritto alla difesa” di Israele si sia trasformato negli anni in un diritto di rappresaglia, ovvero una cosa che non il diritto non ha nessuna relazione.  Questa è una storia, una storia che non racconta tutta la Storia degli ultimi 70 anni e oltre, come tutte le storie che ascolterete in questi giorni. Una di storia di parte, come tutte le storie che ascolterete in questi giorni. Neanche questa storia è un inizio di qualcosa, come non lo è quello che è accaduto in questi giorni. Ma è una di quelle storie che di solito ci dimentichiamo di raccontare e sulle quali l’Occidente è disposto a chiudere gli occhi (e io non credo che l’Occidente possa muoversi con gli occhi chiusi in un contesto come questo). È un processo di rimozione collettivo che non è casuale, ma che serve appunto a negare la realtà dei fatti, perché solamente in una realtà artificiale si può raggiungere un totale stato di indifferenza da riuscire a considerare normale l’organizzazione di un rave a cinque chilometri da un campo di concentramento (e nonostante questo penso che nessuno meriti di essere trucidato semplicemente perché è talmente anestetizzato da non rendersene conto).   Perché in questi giorni di cose ne sono accadute tante, di legittime e di illegittime e lo sforzo dovrebbe essere quello di distinguerle, di provare a comprenderle rifuggendo la tentazione del richiamo alle guerre sante, alle crociate per la libertà, eccetera. Se quindi siete capitati in cerca di una condanna del terrorismo, la troverete, alla fine di questo ragionamento, non prima, e molto probabilmente non vi piacerà. Perché ci sono alcune cose che dobbiamo tenere presenti, se vogliamo provare a inserire un qualunque ragionamento all’interno della cornice del diritto internazionale (se ancora ci interessa il diritto internazionale) e una di queste è la seguente: che un popolo “ha il diritto inalienabile a lottare per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dalla dominazione coloniale e straniera e dalla occupazione straniera con tutti i mezzi a disposizione, compresa la lotta armata”. Compresa la lotta armata, come stabilito dall’ONU, non da me. Quindi, se siete venuti qui pensando che il terrorismo e la lotta armata siano la stessa cosa, mi dispiace darvi una brutta notizia: possiamo discutere se la lotta armata sia utile al raggiungimento di determinati obiettivi, se in alcuni contesti esistano alternative praticabili ad essa, e preferibili, ma non della sua legittimità (e al massimo possiamo limitarci ad una discussione teorica sull’argomento perché non me pare il caso di pretendere di imporre a un popolo la modalità con cui deve liberarsi dell’occupante).La seconda cosa che dobbiamo tenere presente, in un contesto di occupazione, che le modalità dello scontro sono decise per lo più dall’occupante … Leggi tutto