Dopo diciannove mesi, fra tutte le assurde scuse accampate per ridimensionare quello che sta succedendo a Gaza, quella che veramente non riesco a capire è questa storia del “Ma Israele è comunque una democrazia”. È una specie di mantra, ripetuto da più di un anno mezzo, una formula apotropaica che pare che a recitarla improvvisamente i bambini magari non smettono di morire, ma muoiono sereni consapevoli di essere stati ammazzati da una bomba democratica; ultimo ripetitore Adriano Sofri qualche giorno fa sul Foglio che lo cita a conclusione delle motivazione che gli impediscono di chiamare genocidio quello che sta facendo Israele.
Planiamo come se nulla fosse su tutte le imprecisioni del resto (che però servono da costruzione logica al gran finale, come il “solo 30%” che sosterrebbe Netanyahu) e pure sulle remore morali di Sofri che io non voglio urtare con parole che lui, per sua stessa ammissione, avrebbe impiegato per descrivere un evento del genere se solo questo avesse avuto la delicatezza di svolgersi in una qualsiasi altra parte del mondo che non fosse laggiù; per non urtare nessuna sensibilità io quindi adesso lo chiamerò non genocidio ma fattoinnominabile. Planiamo come se nulla fosse su queste premesse traballanti e atterriamo sul maestoso finale:
“L’argomento fondato è questo: in nessuno dei fattinnominabili [edit mio] “classici” che ho elencato, in Armenia, A Srebrenica, in Ruanda, in Cambogia ci sono mai stati combattivi partiti d’opposizione, militari renitenti, folle di manifestanti tenacemente contrari, membri della popolazione decimata presenti nel Parlamento del regime persecutore o nei dibattiti pubblici. Nessuno può immaginare che durante lo sterminio nazista degli ebrei la casa di Adolf Hitler fosse quotidianamente circondata da manifestanti che chiedevano le sue dimissioni e la sua incriminazione. Né la casa di Pol Pot. Questo fa un’enorme differenza. E fa un alleato in Israele.”
Tralasciamo qua tutte le imprecisioni (di cui la maggior parte non reggerebbe a quindici minuti di verifica rigorosa), anzi, facciamo di più: accettiamole per vere. Mi pare che l’unica risposta possibile sia quella più odiosa e più presente sui social sin dagli albori della loro esistenza: e quindi? Qual è l’implicazione logica di questa argomentazione? Le vogliamo esplorare insieme queste profonde implicazioni?
La prima, paradossale, è che se durante la Shoah ci fosse stata questa quotidiana folla di manifestanti intorno alla casa di Hitler avrebbe fatto un’enorme differenza. In che modo? Veramente una Shoah democratica che procede nello stesso identico modo in cui si è svolta, ma con le proteste, i dibattiti tv, i renitenti alla leva e tutto il resto a corollario fa un’enorme differenza? A me pare che se poi, in quanto allo svolgersi dei fatti, la differenza non la fa, questa differenza non c’è. Il fatto che possa fare la differenza e non lo fa, mi pare ancora peggio, ma ci arriviamo dopo, adesso mi immagino Eichmann a Gerusalemme ma nel 2025 che si difende dicendo, Sì però su instagram devi vedere quanti messaggi contrari avevamo, non la chiamerei proprio Shoah. Veramente il punto è che, tutto sommato, i fattinnominabili democratici, con l’alternanza parlamentare e la rappresentanza istituzionale delle opposizioni sono meno peggio? Veramente vogliamo sostenere il sillogismo che siccome la democrazia è meglio della dittatura allora anche il fattoinnominabile della democrazia è meglio del fatto innominabile della dittatura?
L’altro punto che sottende questo tipo di ragionamento è la tautologia opposta: certe cose le fanno le dittature, le democrazie non compiono un fattoinnominabile, quindi quello che si sta compiendo non può essere un fattoinnominabile (per gli amanti della logica segnalo che il sillogismo per chiudersi correttamente dovrebbe prevedere una formulazione opposta: se le democrazie non compiono fattinnominabili, e quello che si sta verificando è un fattoinnominabile, allora chi lo compie non è una democrazia). E però visto che Israele è una democrazia, e proprio ci teniamo così tanto a raccontarla democratica che la dipingiamo ancora più democratica di quanto lo sia nella realtà, pure questa mi pare un’argomentazione senza via d’uscita. Qual è allora l’implicita conseguenza di quelle affermazioni?
Resta una terza implicazione logica, pure questa un po’ surreale: e cioè che la democrazia è tremendamente importante, la forma democratica è così tanto importante che pur di salvaguardarla siamo disposti ad accettare anche un fattoinnominabile. Perché altrimenti arriverebbe la dittatura e farebbe cose cattivissime, senza tuttavia chiarire di preciso quali cose cattivissime fatte da una dittatura possano essere peggio di un fattoinnominabile: forse un fattoinnominabile senza sondaggi elettorali. O forse, l’unica spiegazione possibile, al fondo di tutte queste strane implicazioni logiche, è che quelle cose cattivissime una dittatura potrebbe farle a noi. L’unica argomentazione, che io intravedo in controluce in tutti questi alibi è che una democrazia ci garantisce quel poco che ci basta: che la vittima non saremo noi. L’unica motivazione implicita di “ma è una democrazia” è il tirarsi fuori dall’equazione.
E però, pure questa è una contraddizione, perché se c’è una cosa che quegli odiosi dittatori fanno è proprio quella di “assolvere” i loro popoli (è una semplificazione anche questa): quei popoli sotto dittatura, anche se non possono essere ignorati in toto (nessun dittatore può realmente farlo) hanno margini per protestare, opporsi e impedire i fattinnominabili del proprio governo molto più stretti dei nostri; possono provare a ribellarsi, solitamente finendo ammazzati o incarcerati, al contrario di quello che accade qui da noi, che siamo sinceri democratici: qui da noi, basterebbe non votarli, basterebbe dire no. Quelli, se non in tutto almeno in parte, possono raccontarsi di aver assistito inermi, impotenti, al fattoinnominabile.
E quindi, per concludere, l’unica ENORME DIFFERENZA che io vedo siamo noi: noi che quei fattinnominabili avremmo il democratico potere di fermarli, e non lo facciamo.