SDS#93 – ELONIO FUNEBRE

La fine de ‘sta settimana s’è consumata nella piccola isteria twitter dovuta all’ultima genialata del re dei troll Elonio che, così de botto e senza motivo, ha deciso de inserì er twitterlimit: pòi vede ar massimo quattrocento tweet ar giorno, che poi so’ diventati seicento, che poi so’ diventati mille perché Elonio ormai contratta che manco un venditore de tappeti. Che a margine, ciavrebbe senso se armeno non fosse che la metà de questi so’ un tweet de Polito. Ora, potremmo pure discute della geniale strategia commerciale che punta a limità er tempo che i tuoi utenti passano sulla tua piattaforma, se questa non fosse sortanto l’ultima trollata de un megalomane che ambisce ar titolo de miliardario più purciaro dell’universo. Diciamo pure che le premesse non erano state delle migliori: dopo l’arrivo in ufficio cor lavandino, er licenziamento a capocchia de metà der personale, compresi quelle che dormivano in ufficio pe’ “raggiunge gli obiettivi”, ce potevamo aspettà quarcosa de diverso?La spunta blu è diventata “er distintivo da amichetto de Elonio”, che più artro certifica l’idiozia de pagà 15 euri ar mese per superà er limite de 280 caratteri che letteralmente tutti avevano capito come superà da armeno dieci anni, banalmente mette un tweet appresso all’altro. Un po’ come quelli che trent’anni fa se compravano la casa a Monti perché je piaceva tanto lo spirito artigiano e popolare der quartiere e poi dopo quarche tempo se lamentavano che però er quartiere non era più popolare e artigiano come un tempo, cioè prima che arivassero loro. (per chi non è de Roma, na massa de cojoni assortiti che potremmo riassume ner termine “wannabe fighetti” era corsa a comprà casa facendo schizzà i prezzi e cacciando de fatto i residenti storici che me po’ sta pure bene basta che dopo non vieni a piagne che non è più come prima). Così, dopo avé fatto tutto pe’ trasformà twitter nella brutta copia de facebook (ormai ce mancano solo i gruppi “te lo regalo se hai la spunta blu”) viene er dubbio che er genio Elonio ha comprato twitter co’ un obiettivo preciso: fallo diventà na fogna o ammazzallo. E naturalmente mo tutti se lamentamo e, naturalmente, lo famo su twitter. Tutti che se ne dovemo annà, ma stamo su twitter. Tutti che così le cose non pònno annà avanti, ma le cose vanno avanti e ce ne famo na ragione e me pare la migliore allegoria de la società contemporanea: tutti consapevoli che le cose non funzionano più, ma nell’incapacità generale de mettese d’accordo su quale potrebbe esse quella valida fra le varie alternative disponibili, tutte restamo incatenati nella stessa trappola. La finisco qua sennò ve brucio tutte le visualizzazioni io.

SDS#92 – TUTTA COLPA DEI PACIFISTI

Pe’ un giorno er monno è rimasto cor fiato sospeso appresso alla gesta de Evgenij Prigozhin, il partigiano. Naturalmente prima ancora de capì che era successo già era partito er circo delle tifoserie. Così er compagno Prigo è passato da macellaio de Bachmut a rivoluzionario della libertà e ha puntato dritto verso Mosca pronto a deporre Putin. E ce sarebbe pure riuscito, fra gli applausi entusiasti dei NAFO, se non se fossero messi de mezzo come ar solito i pacifisti. Fino a Rostov era annato tutto liscio, occupazione militare come da copione e un paio de video da tiktok che spaccano. Inizia l’avanzata e manco è partito che viene raggiunto da un tweet critico de Luca Telese, segno evidente che i pacifisti vojono più bene a Putin che a lui. Ma lui non se scoraggia, se batte contro l’esercito corrotto russo, de cui lui è solo incidentalmente uno degli esponenti più sanguinari, i liberali russi già lo appoggiano e pure pe’ quelli italiani è già diventato un punto di riferimento fortissimo. Cosa pò annà storto?Subito dopo arriva Daniela Ranieri, lo promuove a editorialista del Foglio e lì Prigo va in confusione: ma me sta a prende per il culo o dice sul serio? Così telefona in redazione, cerca er traduttore, fatte spiegà quella storia del carro e der vincitore, un sacco de tempo perso.E mo? Certo la situazione è drammatica, i pacifisti proprio non rassegnano ar fatto che lui è il nuovo liberatore della patria, i fedelissimi provano pure a levaje twitter ma lui sta più a rota de Calenda e se infogna a legge tutto l’hashtag cor nome suo. Ner frattempo riesce ad abbatte tre o quattro elicotteri russi tipo zanzare anche se non riesce a schivà i thread de Nico Piro e i tweet sarcastici dell’altri pacifisti.  Ma lui continua, imperterrito. Ormai è arrivato a no sputo da Mosca. De trecento chilometri ma comunque no sputo. Nessuno sembra in grado de stoppallo quando succede l’imponderabile: er silenzio de Conte. E mo come farà a conquistà er Cremlino senza l’appoggio dei 5S? La notizia in realtà già circolava dalla mattina e tre quarti della Wagner avevano disertato. Ora che è confermato scoppia er panico. Mo capisce perché Putin non ha fatto un cazzo pe fermallo, ciaveva i pacifisti imboscati pronti a pugnalarlo alle spalle, er discorso della mattina era un messaggio in codice! Cazzo quante ne sanno sti pacifisti, una più de lui. Che fare? I soldati sembrano vacillà, lui prova a scuoterli: aho, ma mica v’ha fatto l’auguri Salvini! Così, dopo na grattata collettiva, la cosa viene messa ai voti: Cremlino o morte! Vince, de poco, Cremlino. Se prosegue, ma proprio in quer momento ariva la telefonata de Lukashenka.Prigo cambia faccia. Ascolta per un po’ e poi dice a suoi: è finita, se ne tornamo a casa. Ma che è successo? Niente, m’ha detto coso che pure Stacce dice che so’ un nazista… regà, non je la potemo fa. Però Luk c’ha un loft a Minsk dice che se se strignemo c’entramo tutti.E così pure Prigozhin se converte ar pacifismo, dice io torno indietro pe evità spargimenti de sangue, in fondo io so’ sempre stato un pacifista, pacifista mercenario, cambio orientamento su commissione, aho ma non è che è ancora disponibile quer posto da editorialista?

SDS#91 – CERA UNA VOLTA

C’era una volta, in una galassia molto molto vicina, che anzi me sa che era proprio questa, c’era un regno de fantasia che pe’ non urtà la sensibilità de nessuno chiameremo Pirlusconia. Pirlusconia era un piccolo regno feudale col classico governo monocratico ispirato alla sacra triade Dio, Patria, Famiglia; il sovrano però, conoscendo i propri sudditi, aveva preferito declinarla in una versione più concreta e appetibile e cioè soldi, calcio e figa. I soldi, come nuova religione e unico metro del successo, erano misura d’ogni valutazione morale dell’individuo. In questo i pirlusconiani erano un popolo strano: per lo più morti di fame come molti altri popoli, credevano però di potersi arricchire urlando “comunisti merda!”. Saldi in questa fede, continuavano a lavorare per una miseria con la quale compravano abbonamenti tv, assicurazioni, case e altri servizi offerti dal Sovrano Re Cerone Primo, che così si riprendeva così i suoi soldi con gli interessi ed era l’unico ad arricchirsi realmente. Il calcio, o meglio il tifo calcistico per la nazionale, condensava tutto lo spirito patrio del pirlusconiano medio, che biascicava orgoglioso l’inno con cadenza quadriennale per poi il giorno seguente mettersi alla ricerca dei più ingegnosi modi per fottere lo Stato. La figa era invece virtualmente profferta a rete unificate (sempre di proprietà di Re Cerone), affinché le donne ricordassero la loro subalterna posizione di quasi-oggetto e gli uomini permanessero in un indefinito stato desiderante ostacolato dalla propria povertà; povertà che continuavano a combattere urlando “comunisti merda”. La figa non virtuale era appannaggio del sovrano, che vi si dedicava con gran dispendio d’energie, danari, pompette e incarichi di partito, tanto che spesso capacità politica ed erotica tendevano a confondersi. Cerone contribuiva così, per sottrazione d’occasioni, a mantener saldi i sudditi nel sacro vincolo della fedeltà coniugale, come s’addice alla famiglia etero-tradizionale, cornificata solo nei limiti delle proprie capacità economiche in ossequio alla fede nel dio denaro. Nel reame tutto viveva in una calma gioiosa che in realtà della calma aveva solo l’apparenza: i sudditi, che tutti dipendevano dalle emanazioni del sovrano, erano quotidianamente impegnati (dal primo dei vassalli all’ultimo dei servitori) in una guerra fratricida: ognuno affilava il sorriso nell’attesa di pugnalare il proprio superiore e scalare così la piramide dei favoriti, sempre guardandosi le spalle dai tentativi altrui di riservargli lo stesso trattamento. Finché un bel giorno (ma non per i pirlusconiani) il sovrano crepò.  E lì, nel lungo lutto mensile proclamato nel regno, le diverse tribù che il sovrano aveva miracolosamente tenuto assieme, esplosero come l’ex-jugoslavia dopo la morte di Tito (proprio quel Tito, non quello della strada, lo dico affinché nessuno faccia confusione). Al margine del funerale solenne, mentre tutti s’affannavano a baciare la mano del vecchio capitano reggente, un orecchio esperto avrebbe saputo già individuare le piccole dissonanze sciolte all’interno del cordoglio gnaulante elargito alla nazione in diretta tv. Già veniva meno la sguaiatezza tipica con cui i pirlusconiani erano soliti rispondere a qualsivoglia critica e s’affacciava invece quel sentimento livoroso e passivo-aggressivo di chi sente minacciata la propria esistenza dagli smottamenti (interni ed esterni) del nido. Così pigola il pirlusconiano che spreme gli occhi a favor di telecamera per mostrare non tanto il dolore quanto la sua capacità di fingersi addolorato, capacità finalmente di nuovo disponibile sul mercato per quanti fossero interessati a noleggiarla. E nel frattempo guarda con diffidenza il pirlusconiano accanto, paonazzo, che urla e vuole il sovrano canonizzato per acclamazione, sperando in un processo osmotico che condoni i suoi peccati attraverso la purificazione del sommo corpo putrescente. Santo lui e santa la sua gente! Un altro, affezionato forse a condoni più terreni, si domanda: Me ne vado adesso o resto fino a quando non saranno liquidate le quote dell’eredità? E questi neoaffliti chi sono? Che vogliono? Perché se molti fremono per lasciare la nave altrettanti sperano di cannibalizzarne il relitto. Attorno, contriti e famelici, s’aggirano gli sciacalli che puntano al patrimonio del sovrano: a chi andrà il suo potere? A chi i soldi? A chi il calcio? A chi la fica? C’è margine per un nuovo sovrano, o anche solo per una quota parte di sudditi? Quale vassallo devo ammazzare? E i feudatari stretti intorno alla bara in difesa del proprio privilegio, li ringraziano per le condoglianze cercando di capire se la morte dei loro pari dara loro maggior potere o aprirà la strada a nemici più potenti, con i quali non sanno ancora se combattere o negoziare. E altri ancora in cerca di traditori, che scovare un traditore è dimostrazione inoppugnabile di fedeltà, anche quando il tradito è morto, qualcuno di sicuro saprà riconoscerla e ricompensarla. Gli eredi sono già saldi sul trono, Nerona e Cerume, la successione non sembra in pericolo. E i successori, come tutti i successori, magnificano la grandezza del sovrano per sottolineare la potenza di chi ha saputo superarlo, cioè loro stessi medesimi, lasciando che i cani e gli sciacalli si contendano gli avanzi di un bottino che hanno già tratto in salvo. Tutti insieme ripetono, a intervalli regolari, il ritualistico “comunisti merda”, affinché il pirlusconiano comune non s’accorga del grand guignol che si consuma attorno al cadavere, e possa così attendere fiducioso l’approssimarsi del giorno in cui sarà ricco. E se trovano uno in silenzio, o peggio ancora che ride di tutto questo circo insensato, subito lo prendono e lo lapidano in piazza e lo offrono in sacrificio alla memoria del sovrano, che sarà finalmente memoria condivisa una volta rimossi tutti quelli che non la condividono.